Quando diciamo ai nostri figli “sbrigati” molto più spesso di “ti voglio bene”: una riflessione sulla fretta ai giorni nostri e su come cercare di unire i “tempi degli adulti” con i “tempi dei bambini”.
“Improvvisamente mi sono resa conto che dicevo alle mie figlie ‘sbrigatevi’ molto più spesso di ‘ti voglio bene’”. Queste parole della scrittrice statunitense Rachel Macy Stafford introducono un tema caldo per tutti i genitori che nella vita quotidiana sono costantemente alle prese con il cercare di tenere insieme “i tempi dei bambini” con “i tempi degli adulti”. I tempi “degli adulti” sono quelli che la società e il nostro modo di vivere la vita ci richiedono di rispettare, fatti di orari, spesso di corse e vita vissuta di fretta; “i tempi dei bambini” sono invece i tempi della sperimentazione, della creatività, della conoscenza, del presente e del “qui e ora”, dove il senso del tempo per come lo conosciamo noi adulti non è nemmeno pensabile, premesso che il senso del tempo nei bambini è una capacità che per essere sviluppata richiede anni.
E’ chiaro che prima di entrare nell’argomento non possiamo fare a meno, come genitori, di dirci che se c’è un orario da rispettare, ad esempio nell’uscire di casa alla mattina, è priorità del genitore cercare di organizzarsi in tal senso, senza stravolgere la propria giornata, con tutto il rispetto per la creatività di un figlio che sta immergendo vari oggetti in bagno, per vedere quali galleggiano e quali no, lavandosi da capo a piedi prima di uscire di casa quando il resto della famiglia è quasi sulla porta.
Oltre a ciò, è anche vero che è importante educare i bambini al rispetto dei tempi e dei limiti alla volontà, al riuscire a mettere fine alle loro azioni, ai giochi e via dicendo.
Tuttavia, questa riflessione va nell’ottica di chiedere di provare a prestare attenzione a quante volte, magari più del necessario, interrompiamo l’attività dei bambini con la frase “vieni che dobbiamo andare, siamo in ritardo, muoviti che è tardi, lo facciamo un’altra volta”, senza prestare attenzione al momento in cui lo diciamo. E spesso li distogliamo dal guardare qualcosa che li ha incuriositi mentre camminano per strada e su cui stanno facendo mille pensieri, o li si distoglie dal comprendere come funziona un oggetto, o li interrompiamo nell’apprendere autonomia e indipendenza ogni volta che mettiamo loro le scarpe la mattina invece che aspettare o fare in modo che le mettano da soli.
Sintonizzarsi sui tempi e le attività dei bambini richiede volontà, un po’ di calma e soprattutto la consapevolezza dell’importanza di ognuno di quei momenti in cui riusciamo ad uscire dai nostri schemi quotidiani e dar credito a ciò che per loro è importante.
Ad esempio, con poco tempo a disposizione per fare la spesa, aspettare che un bambino alla cassa metta tutta la spesa nei sacchetti spesso non sembra un’opzione percorribile e magari interrompiamo il suo lavoro a metà per terminarlo noi, più velocemente e meglio. Ma lui rimane con un compito non portato a termine, nel quale stava mettendo impegno e soddisfazione. Che messaggio mandiamo al suo cervello di bimbo? Ed è proprio vero che quei 5 minuti in più spesi per questa attività sconvolgono i nostri piani delle ore successive, o è più un’abitudine degli adulti, di pretendere che siano i bambini a seguire i ritmi del mondo adulto e non viceversa?
Di fatto, la nostra fretta, umana e socialmente comprensibile, spesso interrompe quei naturali processi di conoscenza, apprendimento e autonomia di cui il bambino si nutre per crescere.
Si può prestare attenzione al diminuire la quantità di volte in cui interrompiamo una loro attività, perché in quel momento noi abbiamo l’esigenza che lui faccia altro? Si può, iniziando a capire che i bambini si approcciano alla maggior parte delle loro attività dedicando massima attenzione a ciò che fanno, massima concentrazione, e provando piacere nello svolgerla. Qualche tempo fa una paziente mi ha raccontato di come una mattina, portando il figlio piccolo a piedi all’asilo, invece che con la solita andatura a passi lunghi e con la sua classica fretta, l’ha ascoltato in una sua richiesta: “mamma aspetta, fammi vedere che parte la moto. Parte adesso?”. Dopo essersi fermata ad aspettare la partenza della moto al semaforo dall’altra parte della strada, il figlio le ha detto: “hai sentito che rumore? E’ diverso dalle macchine. Anche il trattore fa quel rumore? Mamma la moto quando parte è bella! Con il volto illuminato dalla gioia. 20 secondi ti tempo in più, un piccolo mondo.
A volte piccole interazioni come questa emergono perché ci fermiamo un attimo da quello che è il nostro schema, la nostra routine, la vita di corsa, le cose da fare che diventano più importanti del tempo che passiamo proprio con chi poi queste cose alla fine facciamo. Emergono perché diamo credito al bambino, lo consideriamo competente e abbiamo fiducia nel fatto che quello che sta facendo, le sue richieste, o che ha desiderio di guardare, toccare, fare è importante per lui.
La Stafford conclude che “non è stato difficile eliminare ‘sbrigati’ dal mio vocabolario. La cosa dura è stata imparare a essere più paziente. Per renderci la vita più facile, quando dovevamo uscire ho cominciato a far preparare mia figlia con più anticipo. Ma soprattutto ho accettato il fatto che a volte arriveremo comunque in ritardo. E in quei casi mi dico che succederà ancora solo per qualche anno, finché mia figlia sarà una bambina”.
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