Perché è importante evitare la violenza educativa: educare senza picchiare (nemmeno le sculacciate!)
Un mio amico quest’estate era in vacanza in Svezia ed ha assistito ad una scena che l’ha lasciato sena parole. Era in un parcheggio ed un padre di fianco a lui, esasperato dai capricci del figlio, ha dato al bambino due sculacciate urlando di smettere di fare i capricci e mettersi la giacca. Una signora svedese, non lontana da li, ha percorso velocemente il tratto di strada che li divideva per mettersi di fronte a questo padre, dicendogli che se non smetteva immediatamente di comportarsi così con il figlio avrebbe chiamato la polizia, che al suo paese forse era concesso picchiare i bambini, in Svezia è reato punito dalla legge. L’amico in questione mi ha detto di essere rimasto scioccato dalla reazione secondo lui eccessiva, “cosa vuoi, una sculacciata non ha mai fatto male a nessuno, quando ci vuole, ci vuole”.
Ma è proprio così? La Convenzione per i diritti dell’infanzia chiede a tutti gli Stati di proteggere il bambino contro “qualsiasi forma di violenza” e difende il diritto dell’infanzia all’integrità fisica “senza ammettere alcun grado di violenza contro i bambini”. A questo punto il mio amico potrebbe dirmi che definire una sculacciata, quando è necessaria, una forma di violenza sarebbe eccessivo. Per fare un’analogia però, come disse un delegato della Gran Bretagna, nessuno oserebbe sostenere pubblicamente che un livello ragionevole di violenza nei riguardi delle donne possa essere permesso, quando è necessario!
Tra l’altro, può succedere che dare una sculacciata per un genitore resti un episodio isolato, ma più facilmente si trasforma in un’attitudine a farlo.
Perché bisogna smettere di picchiare i figli impaurendoli con urla, per educarli? Le ultime ricerche in campo neurobiologico ci dicono che se una parte delle esperienze infantili precoci è dovuta all’attivazione del sistema della paura, la personalità che ne emerge sarà caratterizzata dalla negatività e dalla disperazione piuttosto che dall’affetto e dall’ottimismo. Senza considerare le situazioni gravi di maltrattamento, un’educazione impostata sull’eliminare i comportamenti non appropriati dei bambini attraverso la paura (e un bambino, quando viene sgridato da un genitore che lo sculaccia, ha paura) porta a maggiori probabilità che il bambino possa da adolescente soffrire di disturbi d’ansia. Nel 2012 uno studio condotto da ricercatori canadesi sugli effetti della sculacciata, ossia il livello di violenza educativa che è tollerato nella maggior parte dei Paesi europei che non le hanno ancora vietate, ha mostrato che le persone che hanno ricevuto sculacciate o punizioni corporali leggere hanno dal 2% al 7% di rischio aggiuntivo di presentare patologie mentali da adulti, cioè sia disordini del comportamento, sia problemi di alcool o droga.
Ma come smettere di dare sculacciate o sberle, se viene istintivo e naturale, quando si è molto arrabbiati, e soprattutto se siamo stati anche noi a nostra volta educati in questo modo? Come passare passare dal riflesso alla riflessione?
Per prima cosa bisogna innanzi tutto prendere la decisione, che può essere personale e tacita, oppure condivisa con il proprio compagno o compagna o anche con i figli stessi. Una volta presa la decisione di non picchiare, la difficoltà consiste nel decondizionarsi dal riflesso acquisito, ad esempio prendendo del tempo per prendere le distanze dalla situazione, respirare, o allontanarsi di qualche passo per un momento.
Un esempio tratto dal libro “La sculacciata” di Olivier Maurel, è il seguente:
“Hervè non ascolta. Bisogna sempre ripetere!. Riflesso condizionato: quando gli ho chiesto tre volte di mettersi le pantofole e non l’ha fatto, mi precipito nella stanza per dargli uno sculaccione. Riflessione su me stesso e sulla situazione: “Ma è vero che non ascolta? Ci sono delle cose che ascolta benissimo e che fa subito. Cos’è che non ascolta? Gli ordini che lo disturbano, che ai suoi occhi lo infastidiscono. Anch’io non amo che mi vengano dati ordini noiosi o che mi distraggono dalle mie attività. E’ davvero necessario che se le metta? Se siamo in estate, forse può anche farne a meno, se siamo in inverno e ha la tendenza a raffreddarsi, bisogna davvero che se le metta”. Il problema è meglio inquadrato. Non si esprime più un giudizio sul bambino, ma ci si chiede come fare affinchè prenda l’abitudine di mettere le pantofole.
Per promuovere un’etica della non-violenza, per il bene dei nostri figli, si tratta di educarci, come genitori, ad allevare i figli in uno spirito di comunicazione e di rispetto reciproco.
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